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Scrivere per vocazione o scrivere per egocentrismo?

Non capisco perché oggigiorno tutto ciò che ruota attorno ai libri, intesi come libri di narrativa o di poesia e non certo quelli scolastici, purtroppo, risulta affascinante. Il controsenso è che, statisticamente, l’Italia è una nazione con pochi lettori. Eppure tutti scalciano per scrivere un libro o per lavorare in ambito editoriale. Tutti hanno una storia da scrivere e vogliono scriverla, pubblicarla, farla leggere. Oggi è più facile trovare una persona che abbia scritto un romanzo, anziché una che abbia semplicemente letto, che so, I miserabili, tanto per menzionare uno dei classici basilari per chi intende fare narrativa.

Proprio quest’ondata di aspiranti scrittori ha dato il via a folate di addetti ai lavori in ambito editoriale: o meglio, spesso presunti addetti ai lavori.

Conosco centinaia di persone che frequentano corsi per diventare scrittori, correttori di bozze o editor, e poi non conoscono la differenza fra una scena e un sommario.

Cattivi maestri? Alcune volte sì, ma non sempre, fortunatamente. Io credo che la chiave sia nel quesito iniziale: perché tante persone sono affascinate dai libri? Cosa vogliono davvero dai libri?

Vorrei poter rispondere nel modo più ovvio, ossia perché leggere è bellissimo, ma ciò va in contrasto con i dati che mostrano una nazione in cui si legge sempre di meno.

Che dunque i libri siano diventati un prodotto di moda? Qualcosa da esibire tipo una bella borsetta, un cappellino? Continua a leggere Scrivere per vocazione o scrivere per egocentrismo?

Affrontare i demoni: il bisogno di scrivere.

Perché la scrittura non sia un mero esercizio tecnico o un’accozzaglia di pensieri sentimentali bisogna che essa contenga qualcosa di intimo, una pulsione che ci picchia nel petto come un secondo cuore.

Scrivere non è un hobby, non è un gioco, ma un bisogno: il bisogno di sputare fuori qualcosa che ci tormenta; la necessità di trasfigurare e rendere vivo un pensiero o un’immagine che non ci dà tregua, un’ossessione che esige di trovare vita e muore e si rigenera pagina dopo pagina, libro dopo libro. È quel nucleo atomico, per citare il grandissimo Julio Cortázar, che rende speciale anche una storia letta mille volte: perché le storie si ripetono, ma le ossessioni che ci portiamo dentro sono uniche.

Questo non vuol dire semplicemente scrivere con il cuore, un termine oggigiorno talmente abusato da essere ridicolo; che poi, come si fa precisamente a scrivere con il cuore? Cioè, ci si intinge dentro una penna, oppure si sbatte l’intero muscolo cardiaco sulla pagina? No, perché quando sento o leggo la suddetta frase immagino proprio una cosa del genere, infatti chi la utilizza, nel più dei casi, scrive centinaia di pagine di monologo interiore, simili a un adolescenziale diario segreto strabordante di frasi fatte e consigli di vita.        

Scrivere guidati da un’ossessione non è questo: non significa dar libero sfogo ai propri sentimentalismi, ma avere un chiodo conficcato dritto in testa che preme continuamente; è afferrare il toro per le corna, per esprimersi alla Hemingway. Immortalare sulla carta i propri incubi e le proprie paure, come faceva l’inarrivabile Edgar Allan Poe.           

Alcune volte un’ossessione può essere interminabile, continua a presente, come nel caso di Rosa Montero, magnifica autrice che in ogni sua storia è solita inserire inconsapevolmente la figura di una nana; oppure, nel caso del maestro Hugo, la necessità di accusare sempre e con forza la misera condizione dei poveri e degli emarginati. Persino oggi, e l’abbiamo visto con Domenico Starnone, alcuni autori, e direi fortunatamente, sono talmente ossessionati da un ricordo, da un’idea, da un immagine da riproporla costantemente e sempre con più forza come se, come già scritto, quell’ossessione fosse una cosa viva che si ingigantisce pagina dopo pagina. Continua a leggere Affrontare i demoni: il bisogno di scrivere.