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Kafka: il vero spirito di uno scrittore

Ogni volta che mi domando quale sia il vero senso della scrittura, perché scriviamo, il mio pensiero vola subito a Kafka, a mio dire icona incarnata di quello che dovrebbe essere lo spirito di uno scrittore.

Nella precedente frase il condizionale è più che voluto, perché oggigiorno lo spirito degli scrittori, se di spirito e di scrittori si può parlare, è ben lontano da quello di Kafka; complice un panorama editoriale sempre meno attento al senso primordiale della scrittura, troppo impegnato ad accontentare un pubblico, ahimè, formato in maggioranza da lettori pigri o radical chic.

Ridicolo, e pericoloso, vedere come gli scrittori amatoriali aumentino di giorno in giorno, mentre diminuiscono i lettori. Viene da chiedersi il perché di questa improvvisa esplosione di talenti letterari: mai secolo fu più ricco di scrittori come il nostro.

Siamo dinnanzi alla rinascita della letteratura italiana, oppure al suo totale declino? Continua a leggere Kafka: il vero spirito di uno scrittore

Affrontare i demoni: il bisogno di scrivere.

Perché la scrittura non sia un mero esercizio tecnico o un’accozzaglia di pensieri sentimentali bisogna che essa contenga qualcosa di intimo, una pulsione che ci picchia nel petto come un secondo cuore.

Scrivere non è un hobby, non è un gioco, ma un bisogno: il bisogno di sputare fuori qualcosa che ci tormenta; la necessità di trasfigurare e rendere vivo un pensiero o un’immagine che non ci dà tregua, un’ossessione che esige di trovare vita e muore e si rigenera pagina dopo pagina, libro dopo libro. È quel nucleo atomico, per citare il grandissimo Julio Cortázar, che rende speciale anche una storia letta mille volte: perché le storie si ripetono, ma le ossessioni che ci portiamo dentro sono uniche.

Questo non vuol dire semplicemente scrivere con il cuore, un termine oggigiorno talmente abusato da essere ridicolo; che poi, come si fa precisamente a scrivere con il cuore? Cioè, ci si intinge dentro una penna, oppure si sbatte l’intero muscolo cardiaco sulla pagina? No, perché quando sento o leggo la suddetta frase immagino proprio una cosa del genere, infatti chi la utilizza, nel più dei casi, scrive centinaia di pagine di monologo interiore, simili a un adolescenziale diario segreto strabordante di frasi fatte e consigli di vita.        

Scrivere guidati da un’ossessione non è questo: non significa dar libero sfogo ai propri sentimentalismi, ma avere un chiodo conficcato dritto in testa che preme continuamente; è afferrare il toro per le corna, per esprimersi alla Hemingway. Immortalare sulla carta i propri incubi e le proprie paure, come faceva l’inarrivabile Edgar Allan Poe.           

Alcune volte un’ossessione può essere interminabile, continua a presente, come nel caso di Rosa Montero, magnifica autrice che in ogni sua storia è solita inserire inconsapevolmente la figura di una nana; oppure, nel caso del maestro Hugo, la necessità di accusare sempre e con forza la misera condizione dei poveri e degli emarginati. Persino oggi, e l’abbiamo visto con Domenico Starnone, alcuni autori, e direi fortunatamente, sono talmente ossessionati da un ricordo, da un’idea, da un immagine da riproporla costantemente e sempre con più forza come se, come già scritto, quell’ossessione fosse una cosa viva che si ingigantisce pagina dopo pagina. Continua a leggere Affrontare i demoni: il bisogno di scrivere.