Piciul uscì di corsa da scuola, quasi non notò Blanca che lo aspettava.
«Ehi, ma dove vai?»
Blanca lo seguì a passo svelto.
«Allora, che ti ha detto il professore?»
Ma Piciul era strano, scostante, sembrava rinchiuso in un mondo tutto suo dove nessuno poteva entrare.
Proseguirono in silenzio lungo il Corso Garibaldi, camminavano senza meta fra studenti rumorosi e persone che andavano per negozi. Avevano ancora un’ora prima che Piciul dovesse andare in fabbrica.
Arrivarono al Parcheggio San Francesco, un enorme piazzale di cemento. Ragazzini giocavano a pallone, ubriaconi sedevano su muretti a bere vino in cartone, un vecchio lanciava molliche di pane ai piccioni.
Alcuni rom rovistavano in cassonetti arrugginiti ai bordi del piazzale: tiravano fuori vestiti o altre cianfrusaglie e li gettavano in scatoloni posti su vecchi carrozzini.
Una di loro alzò lo sguardo verso Blanca: aveva forse la sua età, le somigliava. Indossava un maglione verde sotto a un pullover marrone coperto da un giubbotto giallo, una lunga gonna simile a una tenda terminava su calzettoni rosa che coprivano piedi affondati in zoccoli mezzi rotti.
Gli occhi di entrambe si unirono in una sola palpabile e liquida pupilla, poi in un attimo quella giovane ragazza svanì in una folata di piccioni.
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