In diverse discussioni con aspiranti scrittori ho descritto loro la differenza che passa fra uno Scrittore di voce e uno Scrittore di trama e, puntualmente, ogni volta c’è qualcuno che mi dice: «Io voglio essere uno scrittore di voce», come se questo termine riportasse a qualcosa di nobile, di magico.
Chiariamo subito che ogni scrittore, da quello che pubblica con il minuscolo editore al vincitore del Premio Strega, dovrebbe avere una propria voce autoriale; uso volutamente il condizionale perché, purtroppo, non è sempre così, non oggigiorno. Avere una voce autoriale, in sintesi, significa essere capaci di raccontare in modo unico e inequivocabile una storia. Non si tratta di stile, assolutamente, ma di una personale intonazione nell’utilizzo del lessico e nel modo di gestire la trama che rende esclusiva la narrazione, proprio come lo è ogni voce umana.
Prendiamo come esempio Domenico Starnone, di cui abbiamo parlato in due precedenti articoli. Il libro con cui ha vinto il Premio Strega, ossia Via Gemito, affronta un tema trattato decine, forse centinaia di volte: il conflitto con il proprio padre. Eppure la lingua in quel libro è talmente intima da renderlo unico. Ciononostante, se leggessimo Labilità, un altro bel libro di Starnone, ci accorgeremmo subito che è frutto dello stesso autore; e questo vale anche per i lavori più ironici di Starnone.
Una voce autoriale, quando è forte, rende la scrittura dell’autore inconfondibile.
Certo, non tutti gli scrittori possono avere una voce autoriale forte, e gli stessi autori che possiedono una voce autoriale forte non sempre riescono a usarla pienamente in ogni loro opera, ma si dà per scontato – o almeno si spera – che uno scrittore abbia una propria voce autoriale.
Ecco perché essere uno scrittore di voce non ha nulla a che vedere con l’avere una voce autoriale.
Per comprendere cosa significa essere uno scrittore di voce cerchiamo prima di comprendere cosa sia uno scrittore di trama.
Togliendo tutta la sua indiscussa abilità, il suo genio, la sua meravigliosa voce autoriale, potremmo definire Charles Dickens come scrittore di trama. Infatti, se appunto tralasciassimo gli aspetti ineluttabili di questo magnifico maestro della letteratura, le sue storie reggerebbero comunque per la cura dei personaggi, delle svolte e dell’intreccio.
Avete presente Grandi speranze? Spero per il vostro bene di sì. Ebbene, raramente ho letto un libro con svolte così eccitanti, un intreccio talmente perfetto e continui ribaltamenti da mozzare il fiato.
Detto ciò, probabilmente molti avranno pensato al mio libro preferito: I miserabili del grandissimo Victor Hugo.
Certo, forse per trama, cura dei personaggi, intreccio e svolte I miserabili è migliore di Grandi speranze, anche se quando si confrontano due libri di questo calibro è difficile evitare i gusti personali; in ogni caso, di certo I miserabili ha un intreccio superiore a Grandi speranze, probabilmente anche a causa del numero di pagine. Questo fa di Hugo un autore di trama come Dickens?
Credo di no, in quanto Hugo è stato capace di reggere alla perfezione una storia in cui la trama è pressoché nulla: L’ultimo giorno di un condannato a morte; la storia di un uomo che, appunto, vive gli ultimi giorni prima di essere condannato a morte. Un libro in cui l’intreccio è nullo, i pochi ambienti esterni sono limitati alla memoria del protagonista, le svolte sono inesistenti e la fine del romanzo ci viene esposta quasi da subito come certa, tanto che – e questa è la maestria di Hugo – a ogni pagina speriamo di essere smentiti. Eppure la bellezza della lingua, del lessico e dell’interiorità del personaggio è talmente alta da rendere appassionante un libro in cui, a conti fatti, non succede nulla che non sia già stato previsto dal lettore.
Per portarvi un esempio forse più attuale e più esplicito credo sia obbligatorio menzionare Aldo Busi, in particolare il suo bellissimo libro Seminario di gioventù, una storia che spesso sembra scollegata e in cui non si segue mai una vicenda specifica, quanto solo i tormenti del protagonista che, voce narrante della vicenda, ci fa immergere di continuo nei propri ricordi e nel proprio mondo interiore, fino a creare intere pagine di digressioni: digressioni piacevoli, affascinanti, volute e che rendono un capolavoro il suddetto libro; le stesse digressioni che fanno amare Gadda.
Questo succede proprio perché Busi è uno scrittore prettamente di voce, dunque può gestire come vuole la pagina scritta. Più della trama è la sua voce che seguiamo, quella particolare cura della parola scritta che è fine non a rendere una storia una capolavoro, come nel caso di Flaubert, ma a usare le parole come fossero note musicali atte a comporre una meravigliosa melodia.
In Busi, certo, contribuisce anche la maestria nell’utilizzare un registro molto alto e la cura del giusto termine, così come per Hugo risulta fondamentale l’utilizzo di metafore e similitudini evocative, ma uno scrittore di voce può utilizzare anche una lingua a portata di tutti e rivelarsi altrettanto potente e musicale. È il caso dello scrittore che voglio presentarvi oggi, benché il suo nome non ha certo bisogno di presentazioni. Si tratta di Giulio Mozzi.

Nato a Camisano Vicentino nel 1960, Mozzi è uno scrittore, curatore e consulente editoriale, nonché editor e docente di scrittura creativa. Fra le case editrici con cui ha collaborato spiccano nomi quali Sironi, Einaudi e Marsilio. È inoltre docente e pilastro della scuola di scrittura creativa e di tecniche di narrazione Bottega di narrazione – Corsi e laboratori di scrittura creativa.
Personaggio controverso a causa dei suoi modi diretti (io stesso una volta ci discussi su Facebook per una questione riguardante Giordano), è comunque un pozzo di conoscenza letteraria e uno scrittore bravissimo.
Purtroppo, mi vergogno a dirlo, ho letto poco di lui: esistono tante cose da leggere, e il tempo è pochissimo; ma le poche cose lette mi hanno davvero colpito. In particolare il racconto Apertura, presente nella raccolta di racconti Il male naturale, edito da Mondadori nel 1998 e finalista al Premio Bergamo nel 1999; un racconto che custodisco gelosamente, dopo averlo conosciuto oltre tre anni fa grazie alla mia maestra Antonella Cilento, al primo anno di scuola di scrittura creativa.
In questo racconto, a mio dire tanto straziante quanto perfetto, Giulio Mozzi dimostra di essere uno scrittore di voce. Il racconto che state per leggere è pura melodia, è musica allo stato puro: una sinfonia drammatica che cresce di parola in parola e che resta calcificata nella mente, nel cuore, nelle ossa.

Mozzi prova di poter far ciò che vuole con le parole, senza usare un registro altissimo come quello di Busi, né necessitando di una trama complessa. Riesce persino a privarsi della punteggiatura.
Ma lasciamo che sia la sua scrittura a mostrarci ciò che significa essere uno scrittore di voce.
Vi prego solo di leggere questo racconto ad alta voce e senza fermarvi.
APERTURA
Lorenza lavora in un
magazzino di prodotti farmaceutici
grande distribuzione il suo lavoro è sollevare
gli scatoloni con il muletto fino ai piani alti
della scaffalatura o portare a terra
gli scatoloni consegnarli ai camionisti
con le mani enormi che li aspettano impazienti
la sigaretta in bocca e nelle loro mani
le bolle di accompagnamento si accartocciano la-
vora tutto il giorno Lorenza fino alle cinque e
torna a casa con il califfo ha il casco il mantellone impermeabile
rosso brillante quando piove
trova a casa la mamma che è grassissima e sta seduta
sopra lo sgabello girevole in cucina
può girarsi e le prepara da mangiare
prende la roba dal frigo la lavora sulla tavola la mette sul fornello
poi si gira ed è già pronta da mangiare sulla tavola
che è vecchia è di granito e un altro quarto di gi-
ro c’è
l’acquaio per lavare tutto senza alzarsi Lorenza
abbraccia la mamma quando torna a casa nell’ab-
braccio
si sprofonda nella mamma Lorenza tende a scom-
parire
l’odore della roba da mangiare
fa schifo a Lorenza ma non le fa schifo la mamma
Lorenza si è ferita una volta gli scaffali della secco
sono di metallo con gli spigoli vivi è facile
tagliarsi basta un movimento impreciso
quando si aprono gli scatoloni o quando si va in cima a sistemarli
anche il cartone taglia non si direbbe è facile
tagliarsi poi con il trancetto è facilissimo
le reggette di plastica che chiudono gli scatoloni sono
tremende sono legate con le fascette metalliche
basta sfiorare uno scatolone appoggiato per terra ad esempio
camminando e ci si taglia se non si hanno i jeans
d’estate Lorenza sta in calzoncini corti
in gonne no perché i camionisti le guarderebbero le mutande
quando si arrampica
hanno fretta i camionisti quando arrivano con l’ordine
dieci di questi tre di quelli e cinquantadue di quest’altri
l’altro fornitore chiude poi devo viaggiare tutta la notte
non mi faccia aspettare signorina
devono arrivare all’improvviso e farti correre
arrampicare di corsa rompere le reggette tagliare il nastro adesivo
contare le confezioni spostare le pile di scatoloni con il muletto
se è una fornitura grossa come succede
si corre sempre e ci si taglia facilmente sì a Lorenza succede
una o due volte la settimana di tagliarsi sono graffi
dice alla mamma non vale neanche la pena
di incerottarli se prendono aria si rimargina subito
poi mi dà fastidio i cerotti tirano
la pelle sono fastidiosi
la carne al sangue fa schifo a Lorenza
non le fa schifo il suo sangue
quando si ferisce lo guarda
lentamente guarda le goccette
tocca con le punte delle dita le
avvicina al naso per sentire l’odore
con la punta della lingua vuol sentire
da che cosa sanno questa sono io pensa
con il trancetto in tasca Lorenza si
arrampica in cima alla scaffalatura in fondo dove
non la può vedere nessuno e chiu-
de gli occhi Lorenza mentre con il trancetto si fa un piccolo taglio sull’
avambraccio sinistro e sta
ferma con gli occhi chiusi finché il titolare la
chiama l’
avambraccio sinistro è tutto insanguinato con
il fazzoletto cerca di
tamponarlo Lorenza di fermare il sangue men-
tre corre giù dall’impalcatura e il
camionista sta protestando e dice
sto arrivando mi ero fatta male ma che cosa
si è fatta deve medicarsi non
è niente basta il fazzoletto guardi lo
stringo con il nodo sì
a casa dopo mi sistemo meglio mi
dia l’ordine su che lamando via non
è niente queste sono cose
che succedono le ho detto qui
ci si fa male come niente suc-
cede
anche se è estate Lorenza continua a portare i jean
se le magliette con le maniche lunghe
sotto le maniche e le gambe dei jeans ha le ferite che si è fatta a casa
a casa sta le ore in bagno con il trancetto e con le forbicine
le piace farsi dei taglietti piccoli ma tanti e tutti
vicini ad esempio dentro
il cavo del ginocchio che è difficile da raggiungere
oppure sotto il piede che
è bello perché poi si cammina e si sente sempre il taglio
poi è pelle dura quella dei piedi e
ci vuole tempo perché si riformi viene fuori come
uno gnocco o una bolla che nel camminare si sente
anche se la ferita si è chiusa ma il più bello
è curare le ferite se le curi non si chiudono mai
toccarle appena ogni giorno con il trancetto o con le forbicine
delicata che non si danneggino
sono belle le ferite quando sono un poco aperte
con le labbra della pelle aperte e con le labbra del-
la carne aperte
ci sono ferite che rimangono aperte avendo smes-
so di sanguinare
rimarranno così per sempre sì Lorenza spera
che rimangano così per sempre sono molto belle
sono la cosa più bella che ha Lorenza le ferite
con le ferite il suo corpo comunica con l’esterno il mondo è fuori
il mondo è dentro che attraverso le ferite passa
attraverso le ferite passa il bene del mondo
entra dentro Lorenza e fa la lotta contro il male del corpo
così il corpo diventa bene e così Lorenza vuole be-
ne al suo corpo
tutto aperto grazie alle ferite verso il mondo
Lorenza vorrebbe che ci passasse l’aria attraverso il suo corpo
come attraverso una tela leggera come attraverso un velo
da sposa o come attraverso un albero
quando corre con il califfo Lorenza apre
la bocca le entra dentro l’aria le entra dentro nei vestiti
le accarezza la pelle l’aria è molto bella è molto buona
se Lorenza corre forte sembra che le entri dagli occhi
anche d’inverno Lorenza tiene un poco aperto il giubbo
perché un po’ d’aria le entri le accarezzi almeno il petto
sente il freddo sul petto Lorenza ma non ha paura
della tosse che si può curare
è il più bello di tutti con i calzoncini corti d’estate
l’aria che accarezza le gambe che si infila dentro
i calzoncini che le sfiora le parti
intime che se Lorenza si solleva sui pedali sente
l’aria che accarezza il sesso è bellissima le
piace
la cosa che si mangia che di più piace a Lorenza è il riso lesso bianco
se ne fa ogni giorno un pugno
le piace mangiarlo così senza condimento
un riso o due alla volta sulla punta della forchetta ma prima
deve dividere i risi più grandi da quelli più piccoli
quelli più piccoli li mangia due alla volta
di nascosto dà da mangiare alle ferite con un riso o due
lo infila dentro la ferita poi lo lascia lì
la mattina il riso si è come sciolto
è come una pappetta molle
dentro la ferita è molto bello
pensare le ferite hanno il nutrimento del riso
come le stelle marine ha letto Lorenza nell’enci-
clopedia conoscere
per mangiare buttano fuori dalla bocca lo stomaco e circondano il cibo
hanno finito di mangiare lasciano andare i resti li disperdono
nell’acqua
le ferite per mangiare il riso si prendono
quello che si può mangiare e non trattengono il resto
viene via quando Lorenza fa la doccia
solo con l’acqua perché il sapone fa bruciare le fe-
rite
in un modo che non le piace fa venire paura
è normale sentire il cuore ad esempio
ma non è normale come si sente il cuore quando si ha paura
ci si sveglia durante la notte all’improvviso
mentre si aspetta il verde al semaforo oppure
quando c’è bisogno di fermarsi un po’ di più nel magazzino
perché c’è una consegna urgente o c’è qualcosa da inventariare
tutti vanno via non c’è più nessuno gli
scatoloni sono
pesantissimi stanno in cima
alle scaffalature di metallo e
quando Lorenza si arrampica le
scaffalature ondeggiano e
se cadessero tra-
volgerebbero tutto
il
mondo scom-
parirebbe se
cadessero le
scaffalature
per Lorenza se ne ha bisogno i cerotti ad esempio
o le garze o le forbicine per le unghie o
le galatine o i prodotti dietetici se vuole ne
può prendere quanti vuole
con il quaranta per cento di sconto evidentemente basta
che non li prenda per rivenderli ad altri
così ad esempio le garze piacciono tantissimo a Lo-
renza
la sera prima di andare a letto mette un quadra-
tino
di garzetta sopra ciascuna ferita
perché non si sporchino le lenzuola
con due pezzettini di cerotto lo fissa
perché è la mamma che lava e fa fatica a lavare
e le garze sono buone perché ci passa attraverso l’aria
solo per questo Lori copre le ferite
come la chiama la mamma Lori Lori
come un nome più piccolo come se Lorenza fosse
più piccola quando la chiama la mamma
che la chiama bambina tesoro
amore anche la chiama la mamma
vuole tanto bene a Lori
così magra e così bella invece guarda
come mi sono ridotta tu fai bene a
tenerti d’occhio sei bellissima e
fatti toccare senti come è bella la
spina dorsale come si
piega flette come si dice io
non so non ho studiato come si
usa adesso ma tu veramente tu sei
bellissima Lori Lori senti come
è bella questa vita di vespa non
si direbbe neanche che sei mia figlia Lo-
ri ma quelle che mi piacciono più di tutto sono le tue tettine
sembri un ragazzino sei elastica come una fionda Lori
fai anche un lavoro da uomo sei bellissima Lo-
ri Lori abbracciami ti
amerò per sempre vieni Lo-
di garza come una sigaretta un rotolino con
due anellini di filo (mostra gli anellini di filo) per tenerlo stretto e
con le punte delle dita piano
(fa piano) piano lo si può infilare
dentro la ferita, lentamente, (lentamente) la
ferita è sulla coscia sinistra, all’interno, (la mostra) è
lunga circa sette centimetri, non
è molto profonda (la indica con il dito) ma quanto basta per-
ché ci si possa adagiare dentro un rotolino di garza così
rimane aperta (esibisce un sorriso soddisfatto) non c’è pericolo che si chiuda la
più bella ferita che mi sono mai fatta guarda
mamma questo rotolino (lo applica) di garza come sta
bene dentro la ferita vedi che
quando cammino (fa alcuni passi) si sfiora
l’interno della coscia con l’interno della coscia e
si potrebbe mettere un campanellino (ride) non
ti piacerebbe un campanellino appeso con un filo alla garzetta
che facesse un dindìn per ogni passo così tu
la sentiresti ancora meglio la ferita ti
piacerebbe vero un campanellino
un campanellino un campanellino
dindìn, a ogni passo, un campanellino dindìn
(ridono entrambe)
Che
cosa sono questi dicono all’ospedale quando por-tano
Lorenza che è svenuta all’improvviso per fortuna non
in cima alla scaffalatura dice il
titolare le
sollevano la maglia e ci sono
le ferite attorno all’ombelico che sono come un
ombelico allargato sì Lorenza ha l’ombelico
grande come mezza pancia allora la spogliano tut-
ta gli infermieri
le trovano le incisioni nel cavo dei ginocchi le slab-
brature sotto i piedi
i rotolini di garza dentro le incisioni tra le cosce e riso dentro le piaghe andato a male infetto e
dappertutto graffi pezzi di pelle staccata e cicatrici e
trovano infilato a forza dentro la vagina un
piccolo panino
Senza parole, vero? Siete rimasti anche voi a fissare il vuoto, dico bene?
Vediamo ancora Lorenza nelle nostre pupille. In questo vortice di parole siamo stati portati nella sua vita, l’abbiamo osservata senza che altro ci distraesse. Abbiamo provato tenerezza nel vederla, paura man mano che le ferite aumentavano.
Nessun intreccio, una trama pressoché priva di svolte, un solo personaggio, eppure siamo rimasti senza fiato dinnanzi a questo racconto che io definirei indispensabile nel panorama letterario contemporaneo. Qui ogni parola compone un puzzle in cui prende vita ciò che l’autore vuole mostrarci, tutto il resto non conta.
In questo racconto di Giulio Mozzi troviamo un esempio lampante di come uno scrittore di voce possa rendere incancellabile ogni vicenda, persino la storia più breve, e che può farlo anche usando un registro volutamente semplice.
Da più di tre anni conosco questo racconto, ma ogni volta ho i brividi.
Ancora grazie a Mozzi per questo piccolo grande capolavoro.