A mio dire tutti dovrebbero scrivere, ma chi ambisce a pubblicare dovrebbe almeno prendersi la briga di informarsi bene in quale ambiente lavorativo sta cercando di entrare: sì, perché il mondo dell’editoria è un ambiente lavorativo; diversamente, non aspettatevi del denaro per i vostri dattiloscritti.
Invece ancora oggi, in pieno 2022, ci si accosta al mondo editoriale senza averne conoscenza, finendo per inciampare sempre nella solita, noiosa domanda: meglio pubblicare con una CE o in self su Amazon?
Da premettere che quando leggo l’acronimo CE mi sale una furia omicida che manco Ted Bundy. Provate a usare ’sto cacchio di termine parlando con qualcuno tipo Antonio Franchini, come minimo vi molla un cazzotto in faccia.
Casa editrice. Siamo scrittori, dunque rispettiamo le parole.
Chiusa questa digressione, a mio dire necessaria, ho deciso di spendere gratuitamente un po’ del mio tempo per dare alcuni consigli, spero utili a chi vorrà leggerli.
Anzitutto non si tratta di demonizzare una realtà per innalzare l’altra, quanto di osservare in modo oggettivo la situazione e sempre procedendo per statistiche, dunque non generalizzando né entrando nel singolo caso. A tal motivo evitiamo i “ma io invece… però a me… invece mio cugino…”
La singola esperienza non equivale alla totalità, né la totalità esclude la singola esperienza, dunque l’eccezione.
Partiamo da Amazon. Che non è un editore, credo sia chiaro a tutti. In sintesi è una piattaforma di vendita, un gigantesco negozio online che vende di tutto. Nel caso dei libri, Pinco Pallo carica un file di testo sull’apposita piattaforma e in poco tempo viene caricato, reso disponibile sul mercato. Non c’è una redazione che lo legge, potrei anche inserire la lista della spesa, sarebbe comunque pubblicata.

Tralasciando il formato digitale, per il cartaceo Amazon applica la modalità di Print on demand: il cliente acquista, il libro viene stampato e spedito; raramente ci sono copie già stampate, dunque Amazon non sostiene alcun costo per la gestione del magazzino, solo quelli di stampa, preventivati in fase di caricamento del file e trattenuti assieme a una percentuale di vendita che va all’azienda.
E quanto trattiene Amazon sul costo di ogni libro? Il 40%
Dunque l’autore per ogni libro cartaceo intasca ben il 60%, una percentuale davvero altissima rispetto all’editoria.
Okay, ma cosa fa Amazon per prendersi la sua fetta?
Rende il libro disponibile sulla sua piattaforma di vendita, non altro. Punto. Il suo lavoro finisce lì.
Vabbè, però lo stampa.
Il costo di stampa per un libro che va dalle 110 alle 828 pagine A5 in bianco e nero è di soli 60 centesimi, ben poco rispetto al 40% trattenuto sul prezzo finale del prodotto, ancor più se teniamo conto che le copertine dei libri (salvo richieste specifiche che, ovviamente, fanno alzare il prezzo di stampa) sono di scarsa qualità, si spiegazzano in un paio di giorni.
Oltre a questo non fa nulla. Il libro non si può acquistare altrove, né online né fisicamente. Solo su Amazon.
Certo, ci sta l’opzione di distribuzione estesa che dà ad Amazon un ulteriore 20% di guadagno: 60% Amazon, 40% l’autore; un’opzione che permette di acquistare il libro anche su altre piattaforme online e renderlo disponibile alle librerie, visto che queste si rivolgono ai distributori.
Ora, voi avete mai visto in libreria un libro non pubblicato da una casa editrice?
Io no. Magari giusto la libreria del paesello in cui vive l’autore.
Infatti, sul sito Amazon c’è questa specifica: “Tale registrazione non garantisce che il libro cartaceo venga accettato dai distributori oppure ordinato da una determinata libreria o biblioteca. La decisione di vendere il tuo libro spetta ai distributori e la decisione di ordinarlo spetta unicamente alle singole librerie e biblioteche. Non possiamo fornire dettagli sulle librerie e le biblioteche che hanno acquistato il tuo libro.”
Bene, una libreria già bestemmia tutti i santi quando deve ordinare libri non distribuiti da Messaggerie, a causa di frequenti problemi legati al ritiro dei resi, alla reperibilità del prodotto e ai tempi di consegna, figuriamoci se va a ordinare il libro di Pinco Pallo pubblicato in self su Amazon e da questi distribuito per un 20% in più sul prezzo di copertina, dunque, di sicuro mollando solo il 10% al distributore che ci sputa sopra a una simile cifra. Ma fosse anche l’intero 20%, sapete quanto se ne frega al distributore di sbattersi per questi spiccioli, quando tramite l’editoria tradizionale intasca per ogni libro tre volte tanto?

In sintesi, il libro di Pinco Pallo sarà reperibile solo su Amazon o anche su altri store online se rinuncia a un ulteriore 20% sul prezzo di copertina. In libreria col cavolo che ci arriva!
Questo ci porta a un altro problema: e le presentazioni?
Scordatevi le librerie, salvo quella nel paesello e gestita dall’amico di Pinco Pallo; ma abbiamo detto che non tratteremo le eccezioni. Pinco Pallo dovrà rivolgersi ad associazioni, biblioteche e qualsiasi altro tipo di locale, sperando sempre di vivere in un paesello o che sia talmente noto in giro da poter fare eventi anche in una metropoli. E come funziona per i libri? Li compra lui, semplice. Non essendoci una libreria, non c’è nessun negozio che li ordina, e Amazon non ti fa mica conto deposito: te li vende a un prezzo scontato, visto che sei l’autore, e poi sono cazzi tuoi.
Dunque per ogni presentazione Pinco Pallo deve investire un bel po’ di soldini e accendere un cero alla Madonna. Non solo, i libri che di certo avanzeranno dovrà conservarli con molta cura, perché abbiamo detto che le copertine di Amazon si rovinano in un nulla.
Ma finora abbiamo toccato i tasti meno dolenti per chi pubblica in self su Amazon, perché, a conti fatti, e lo vedremo poi, la questione librerie e presentazioni non è una passeggiata manco per chi pubblica con una casa editrice. Il vero problema sta nella pubblicità, dunque nel rendere visibile il proprio libro in un mondo pieno di Pinco Pallo che hanno pubblicato un libro.
Amazon non mette a disposizione nessuno ufficio stampa, né piccino picciò né grande. Deve fare tutto l’autore.
Ora, visto che un vero ufficio stampa costa dai 500 ai 3000 euro al mese, si suppone che Pinco Pallo non ne potrà beneficiare, al massimo sborserà 50 euro o un centone a qualche blogger che, nel panorama mediatico, ha la stessa visibilità di Enzo Paolo Turchi a Hollywood.

Di conseguenza, salvo conoscenze personali o iniziative benefiche (che tanto piacciono al pubblico), il suo libro non arriverà sui quotidiani a tiratura nazionale, non ne parleranno le trasmissioni radiofoniche rilevanti né potrà ambire a una pillola in TV: escludendo sempre il paesello di Pinco Pallo dove c’è Tele Salsiccia e Radio Porchetta, ma abbiamo detto che le eccezioni non ci interessano. Il solo modo che Pinco Pallo avrà per pubblicizzare il proprio libro sarà il passaparola sui social, perdendosi in un oceano di Pinco Pallo che hanno avuto la stessa idea.
Ora, se Pinco Pallo ha 5000 follower veri, tutte persone che interagiscono con lui e non sconosciuti aggiunti alla cazzo di cane o fake di vario tipo, forse può anche sperare di vendere un bel po’ di copie, ma pur considerando questa remota possibilità resta da affrontare il problema più grande: Pinco Pallo non è considerato un vero scrittore in ambito editoriale.
Giusto o sbagliato? Non siamo qui per discutere questo, però è così. Funziona proprio così.
Ma facciamo ancora una volta finta che al posto di un Pinco Pallo qualsiasi ci sia un Pinco Pallo con amici giornalisti che scrivono su importanti quotidiani, tanto da dedicargli un articolo, oppure che per esperienze pregresse in ambito lavorativo o una risonanza mediatica di natura benefica o sociale sia riuscito a portare il proprio libro alla radio o in TV (non Tele Salsiccia) giusto il tempo di uno starnuto, pensate che del libro di Pinco Pallo ne parleranno riviste come Il Foglio o Nazione Indiana, lo troveremo nelle classifiche che contano davvero, sarà oggetto di un dibattito tra Fofi e Colasanti?
Ne dubito. Così come dubito che il libro di Pinco Pallo parteciperà a concorsi importanti quale il Fahrenheit, il Premio Napoli, o i più rinomati Bancarella o Strega. Il libro di Pinco Pallo non sarà neppure invitato ai Festival. Perché Pinco Pallo non è considerato uno scrittore, in quanto non fa parte del panorama editoriale.

Giusto o sbagliato? Non sta a me dirlo. È così. Ed è così soprattutto perché Amazon permette di pubblicare “la qualunque”, dunque, per quanto un autore possa essere il nuovo Aldo Busi o un provetto Simenon, per quanto abbia investito soldi in editing e altri servizi editoriali, agli occhi degli addetti ai lavori resta sempre e solo un Pinco Pallo tra tanti Pinco Pallo che non sanno scrivere perché ha pubblicato su Amazon.
Giusto o sbagliato? Non sta a me dirlo. È così.
Va bene, però il libro di Pinco Pallo ha ricevuto millemila recensioni e tutte a cinque stelle, è un vero caso editoriale!
No, non lo è. Di un caso editoriale ne parlano i canali menzionati poco prima, non altri aspiranti autori, scrittori che hanno pubblicato in self o blogger. Le recensioni Amazon, a dirla tutta, nel mondo editoriale nessuno le se le fila.
Okay, però è anche vero che l’amico di un cugino di un’amica di Pinco Pallo ha pubblicato un romanzo su Amazon ed è andato così bene che è stato contattato da una grande casa editrice.
Certo, questo forse fino a cinque anni fa, se non di più, prima che gli editori si rendessero conto di quanto fosse un investimento poco fruttifero. Infatti l’amico del cugino dell’amica di Pinco Pallo è tornato a pubblicare su Amazon.
Newton e Rizzoli, le due grandi case editrici che per un po’ hanno fatto scouting su Amazon, di certo invogliate da alcuni bestseller giunti da oltreoceano e puntando prima sui romanzi rosa poi sui gialli, hanno capito ben presto che un autore su mille riusciva a reggere le aspettative di una grande casa editrice. Sì, perché quando vieni contrattualizzato da una grande casa editrice lavori, a tutti gli effetti, per una SPA o una multinazionale. E non nascondiamoci dietro alti ideali letterari – che di certo approvo pienamente – , alla fine dei giochi il successo attira tutti e per avere successo devi vendere, avere un seguito mediatico. Di conseguenza, con la grande editoria se non vai in ristampa sei fregato. E non parliamo delle 500 copie che vendi in self, ma di vendite che devono superare almeno le 3000 copie: cosa difficile quando il solo seguito dell’autore ha già comprato il suo libro quando era in self.

Ecco perché lo scouting si è rivelato fallimentare, gli autori non hanno soddisfatto le aspettative della casa editrice; colpa in primis delle realtà editoriali, avendo creduto che i risultati di un autore su un campo del tutto amatoriale bastassero a sfondare in ambito professionale: è come se io prendessi un calciatore talentuoso dalla Serie C e lo mettessi di colpo in Serie A, credendo non solo che il suo talento possa competere con quello di giocatori di professione, ma che venga subito osannato dal pubblico.
Non funziona così, ci vuole tempo, il calciatore di Serie C avrà bisogno di mesi per conquistare il pubblico, e nel caso dell’editoria questi mesi si riducono a uno, al massimo due.
C’è però da dire che il self offre guadagni più alti di una casa editrice. È vero, almeno se ragioniamo in percentuali sul venduto.
Una micro casa editrice, di norma, offre circa il 10% su ogni copia; piccola e media editoria dànno dal 6% fino a un massimo dell’11%; la grande editoria, parte anche solo dal 4%
Inutile dire che le royalty di Amazon sono più competitive e di molto, ma, come detto, tralasciando una questione di veri anticipi sulle vendite che in rari casi vengono dati, e per lo più dalle grandi realtà editoriali, come ci siamo detti pubblicare con l’editoria tradizionale apre un ventaglio di possibilità che il self non dà.
Dunque, a mio dire, un autore dovrebbe porsi la seguente domanda: voglio guadagnare subito con quello che scrivo, pur sapendo che nella migliore delle ipotesi farò un paio di migliaia di euro, o desidero inserirmi in un ambiente lavorativo che, in un modo o in un altro, mi permetta di fare della scrittura il mio mestiere?
Darsi una risposta a questa domanda, e farlo con onestà intellettuale, può aiutare nella scelta.
Ma guardiamo adesso la scelta di pubblicare con l’editoria tradizionale.
Credo ci sia ben poco da dire, quel che offre una casa editrice è emerso da ciò che non offre pubblicare su Amazon. Ma c’è una questione fondamentale: con quale casa editrice pubblico?
Attualmente in Italia esistono circa 5000 case editrici. Pur togliendo quelle che pubblicano solo saggistica o manualistica, scolastica, riviste o fumetti, potremmo anche arrivare a una stima molto ottimista di ben 1000 case editrici per la sola narrativa. Ma no, caliamo ancora, contiamone soltanto 500.
Ebbene, potreste farmi un elenco di tutte le case editrici che avete visto nelle librerie?
Venti o trenta, nel caso delle grandi catene librarie come Feltrinelli o Mondadori?
Ma ampliamo il bacino di interesse, mettiamoci anche le librerie indipendenti, a quanti titoli arriviamo? A cento, forse centocinquanta?
Infatti, benché sia una sorta di tabù per gli aspiranti scrittori, è bene capire che al di sotto della piccola editoria esiste anche la micro editoria: realtà editoriali nate in un nulla, spesso investendo a malapena un migliaio di euro; realtà in cui una, due o tre persone coprono più ruoli e spesso, senza mai generalizzare, in modo improvvisato.
Sono case editric scadenti? Non possiamo saperlo, magari in cinque o anche in uno solo anno potrebbero fare un grande salto di qualità. Non è questo che stiamo trattando. Ma è importante riconoscerle per comprendere se rispecchiano le nostre aspettative.
Per capirci meglio, parliamo un po’ di numeri.
Per micro editoria si intende una casa editrice che non ha una tiratura annuale definita, di conseguenza neppure un vero calendario editoriale da rispettare. Possono impiegarci un mese per rispondere a un autore e pubblicarlo altrettanto velocemente. Di norma pubblicano anche 50 testi in un anno, in quanto la loro tiratura iniziale è di massimo 300 copie.
Questo punto è fondamentale, fa capire che queste realtà pubblicano tantissimo ma investendo pochissimo su ogni singolo titolo. Una tiratura così bassa non potrebbe soddisfare nemmeno la richiesta mensile di tre grandi librerie, ma, spesso, queste realtà contano esclusivamente sul bacino di contatti dell’autore. Non puntano alla ristampa, ma allo smaltimento delle copie, già pronte a vendere altri dieci titoli alle stesse condizioni.
C’è da immaginare, sempre senza generalizzare, che la selezione non sia poi così dura, visto il numero di testi pubblicati. Inoltre, se non mi interessa andare oltre le 300 copie, di certo non investirò in un ufficio stampa, mi limiterò a qualche contatti con i blog, ad andare alle fiere, al massimo a investire soldi in qualche salone e non certo per vendere libri, quanto per cercare di tessere contatti utili. Di sicuro non avrò le forze neppure per essere presentato a qualche premio davvero rinomato. I libri che pubblicherò saranno destinati a morire, spesso senza neppure aver finito la prima tiratura. In alcuni casi queste realtà non hanno neppure una distribuzione e, anche quando se ne servono, il loro canale di vendita è quasi sempre il proprio sito oppure, guarda caso, Amazon.
Ovviamente, come già detto, non sto generalizzando, ma al di là delle intenzioni e dalla voglia di crescere questa è la micro editoria e auguriamo il meglio a tutte le serie case editrici intenzionate a fare un buon lavoro e a crescere.
Inutile dire che con queste prospettive non cambia nulla dal self, salvo qualche forte alleato che, contando comunque sul fatto che il libro di Pinco Pallo sia stato pubblicato da una casa editrice, possa portarvi a qualche premio o alla stampa che conta.
Ma è colpa dell’editore? Per nulla. È colpa dell’autore che non si è informato sulla realtà scelta e ha firmato un contratto alla cieca.
La piccola editoria, invece, di norma pubblica circa 10 libri in un anno. Ha una linea editoriale ben precisa, spesso suddivisa in collane, e programma il catalogo con largo anticipo, dunque dalla firma alla pubblicazione potrebbe passare anche più di un anno. Diversamente dalla micro editoria, la piccola editoria non solo fa una vera selezione, spesso scartando anche ottimi libri che, in altri contesti (dinamiche commerciali, programma editoriale abbastanza libero) avrebbe scelto, ma è composta da addetti ai lavori spesso conosciuti in ambito editoriale e che hanno collaborato con altre case editrici. La tiratura di una piccola casa editrice va dalle 500 alle 1000 copie, la distribuzione è LibroCoo o Messaggerie e benché vendendo dal proprio sito il guadagno sarebbe maggiore, hanno interesse a far finire i titoli in libreria, per quanto difficile sia, vista la limitata risonanza mediatica e, di conseguenza, la poca appetibilità per i librai. Come la micro editoria partecipano alle fiere ma sono invitate anche ai festival; talvolta arrivano anche a grandi premi quali lo Strega, il Campiello, il premio Napoli o altre competizioni che davvero contano. L’ufficio stampa, per ovvi motivi, non è sempre dei migliori, in alcuni casi è l’editore, che ricopre anche il ruolo di redattore, a tessere le relazioni. In ogni caso può essere un buon inizio perché, come abbiamo letto, ha una vera tiratura che offre la speranza di vedere il proprio libro in giro per l’Italia, si possono fare presentazioni (per lo più nelle piccole librerie) e c’è la possibilità di concorrere a prestigiosi premi.
Le percentuali sono spesso inferiori a quelli della micro editoria, tuttavia è una questione relativa, visto che la tiratura è maggiore. Diciamo che, diversamente dal self, pubblicare con una piccola casa editrice può offrire la possibilità di farsi conoscere veramente da addetti ai lavori, critici e giornalisti e arrivare a tanti lettori tramite presentazioni nelle librerie, festival e premi.
Riguardo la piccola editoria bisogna inoltre considerare due fattori: il livello di crescita e le relazioni con altre realtà editoriali.

Nel primo caso, ci troviamo di fronte a case editrici che per prestigio e presenza sul mercato potrebbero a tutti gli effetti essere definite parte della media editoria, tuttavia o per scelte editoriali (tiratura, numero di libri pubblicati in un anno) o per il fatturato, rientrano ancora nella piccola editoria, anche se ogni anno almeno un loro titolo è presentato allo Strega e in qualche raro caso arriva nella dozzina. Inutile dire che una simile realtà deve avere per forza un ufficio stampa forte e una distribuzione in grado di sostenere l’improvvisa e crescente richiesta di un testo, magari dovuta proprio alla partecipazione a qualche premio. Ci sono invece quelle che a tutti gli effetti, anche nella convinzione dei lettori, appartengono alla media editoria sia per libri che hanno ottenuto un successo mediatico, sia per il fatturato, ma che per scelte editoriali, quali la tiratura annuale, restano ancora nella piccola editoria.
Nel secondo caso, invece, abbiamo case editrici non dissimili a quelle appena illustrate, però meno forti sul mercato editoriale. Sono realtà composte per lo più da editori, redattori, addetti ai lavori e autori che si sono conosciuti collaborando con delle riviste letterarie: aspetto che causa, involontariamente, un forte senso di appartenenza a un gruppo compatto ma poco inclusivo. In molti casi, trattandosi di case editrici nate da persone cresciute nelle riviste letterarie, prediligono uno stile sperimentale, amano definirsi “di nicchia” e talvolta autori e addetti ai lavori sono additati come intellettuali, visto che il lavoro di relazioni porta a collaborazioni con importanti riviste letterarie e giornali tematici. Inoltre sono realtà che spesso iniziano ad affacciarsi a grandi premi quali lo Strega; in piacevoli circostanze i loro titoli arrivano anche tra i 12: in un caso specifico persino nella cinquina.

La loro forza è l’unione e la presenza di persone conosciute nelle riviste letterarie, come abbiamo già detto.
In entrambe le circostanze non è facile arrivarci, il più di queste realtà non accettano da tempo dattiloscritti e leggono le proposte giunte solo da agenzie letterarie o da conoscenze dirette, soprattutto nel secondo caso.
Che sia giusto o meno, non sta a me dirlo, certo la pubblicazione con una di queste realtà offre una forte prospettiva di crescita.
Meglio del self? Ancora non sta a me dirlo, fate voi due conti, magari pesando i premi a cui partecipano queste realtà, gli autori pubblicati e come molti di questi finiscano a scrivere per riviste prestigiose.
Riguardo la media editoria, invece, c’è ben poco da dire. La loro tiratura va da 1000 a 3000 copie e pubblicano dai 10 ai 30 titoli annui, talvolta con picchi di 50. Hanno una linea editoriale inscalfibile e i testi sono suddivisi sempre in collane, pubblicano molti autori stranieri e ripubblicano dei classici (anche alcune piccole realtà, per fortuna, lo fanno), la loro redazione è composta da nomi importanti nel panorama editoriale non solo italiano, ma mondiale, e i loro testi sono sempre presenti nelle librerie. Inutile dire che sono distribuite da Messaggerie, hanno un vero ufficio stampa e contatti internazionali, partecipano a festival prestigiosi e alle fiere non fanno solo numero, inoltre sono sempre presenti a premi del calibro dello Strega e non solo arrivano in finale, ma vincono pure, come – fortunatamente – sta succedendo negli ultimi anni. I compensi non differiscono molto da quelli della piccola editoria, anche se nel più dei casi offrono all’autore degli anticipi: non illudetevi di cifre a quattro zeri, non funziona così neppure con la grande editoria, che quasi sempre dà un anticipo anche agli esordienti.
Comunque sia, credo si possa dire tranquillamente che preferire il self alla pubblicazione con una realtà della media editoria sia follia, sia per prestigio e successo, ma soprattutto per le prospettive di crescita come autore e la possibilità di lavorare nella filiera editoriale. Forse avrebbe più senso valutare la scelta tra il self e una pubblicazione con un grande marchio editoriale, anziché con una media casa editrice. Sì, e capiremo presto il perché. Per spiegarlo basta fare un esempio calcistico, pur non essendo io un appassionato. Vediamo la media editoria come un’ottima squadra che da qualche anno, per la prima volta o dopo una retrocessione, gioca in serie A: avrà un rapporto più umano con i propri giocatori, li curerà, perdonerà loro anche qualche sbaglio e farà di tutto per farli vincere; la grande editoria, invece, è la Juve: mai retrocessa, comanda i giochi, vuole solo giocatori di talento e se sbagli sono calci in culo.

Qui sta la differenza. Si fa sul serio. Si entra a tutti gli effetti in un panorama aziendale, non letterario. Si lavora per obiettivi altissimi.
La grande editoria è composta in prevalenza da marchi editoriali. Parliamo di SPA o multinazionali composte da numerose realtà che, pur mantenendo il proprio nome e – in un certo senso – una propria politica, fanno fede a un’unica, gigantesca azienda. Se le medie case editrici che pubblicano narrativa in alcuni casi fanno spazio anche alla saggistica e altre forme di scrittura, la grande editoria tratta davvero di tutto: dalle riviste patinate ai fumetti. Va da sé che il guadagno non sia solo il loro interesse finale, com’è normale che sia per ogni azienda, ma che rappresenti una vera e propria filosofia aziendale: per me l’importante è che venda, poi del resto non mi importa; di conseguenza, tu autore, devi vendere, o se fuori dai giochi, licenziato, non ti rinnovo il contratto.
Tralasciando gli aspetti che (si spera) tutti conoscono, ossia la presenza dei migliori redattori ed editor, una sorta di monopolio sui premi letterari, agganci con quotidiani e TV nazionali e tante altre cose, l’errore da non fare mai è associare alla grande editoria solo gli autori che raggiungono un certo successo mediatico: i soliti noti, per capirci.
Un grande marchio editoriale in un anno pubblica minimo 50 testi di narrativa, eppure quanti ne conosciamo? Questo perché non tutti gli autori vengono spinti allo stesso modo. Certo, viene concesso un ufficio stampa che garantisce un passaparola all’uscita del libro, un passaggio sull’ANSA e su qualche quotidiano a tiratura nazionale, però poi spetta all’autore tutto il resto.
Va da sé che l’aver pubblicato con una grande casa editrice offre un notevole prestigio quando ci si presenta a una rivista, a un giornale o a una libreria per proporre il proprio libro, senza contare le relazioni importanti che si riescono a tessere. Però sta sempre e solo all’autore. Anzi, l’editore diventa un vero datore di lavoro che ti martella per i risultati e ti sbatte in faccia più gli insuccessi che gli insuccessi, proprio per spingerti a fare sempre di più.
Ed è proprio qui che ci ricolleghiamo all’esempio calcistico.
Una grande realtà editoriale, di solito, parte da una tiratura che va dalle 3000 alle 4500 copie. Tantissimo. Non è più uno scherzo. E se non vai in ristampa, salvo casi particolari che non tratteremo, sei fuori dalla squadra. E dopo sono “uccelli per diabetici”.

Arrivare a una grande casa editrice e poi precipitare in picchiata, fino a tornare alla piccola editoria, è la morte editoriale. Ovviamente è diverso quando si pubblicano alcuni testi con la grande editoria e, nel mentre, altri lavori non congeniali a loro li si pubblica persino con la piccola editoria; ma se, invece, dopo uno o due testi pubblicati con la grande editoria si ritorna alla media editoria e senza riuscire neppure a restare lì, magari in una nicchia, precipitando fino alla piccola editoria, allora è la fine, ci si brucia nel giro che conta. C’è da sperare solo in un’improvvisa rimonta, magari dovuta a fattori commerciali o relazioni che nel mentre si sono venute a creare; diversamente, meglio non pubblicare più e attendere, fortificarsi, aspettare il momento giusto.
Dunque, pubblicare con la grande editoria non significa aver fatto il botto, come si suol dire, ma mette, invece, di fronte a degli impegni che bisogna essere in grado di rispettare: uno stress non indifferente da sostenere.
Può aprirti un mondo, ma può anche mettere fine alla speranza di fare carriera in ambito editoriale, che tu sia il grande letterato o l’influencer che di punto in bianco può essere dimenticato.
Insomma, come si è visto per gli autori scovanti su Amazon, è davvero un attimo, al punto che spesso ci si chiede se vale la pena sbattersi per dei traguardi precari. Ovviamente ciò riguarda i desideri individuali di ogni scrittore, le motivazioni e le aspettative. Di certo, però, qualsiasi decisione va presa con la consapevolezza di cosa si sceglie e a cosa si rinuncia, dunque non posso attestare di aver davvero scelto di pubblicare in self se non conosco nulla dell’editoria tradizionale.