Progetto teatrale: Stalker, i due volti dell’odio

Atto I

Scena 1

La scena è avvolta dalla semioscurità. Sul pavimento c’è una bambola, alcuni giocattoli, dei cosmetici, scarpe dal tacco alto, oggetti scolastici e una corda.

Sul lato destro, nella penombra, c’è Arianna, una ragazza trentenne, gli occhi vitrei sul pavimento e le dita in bocca; indossa solo una lercia tunica bianca, a entrambi i polsi sono legate delle catene.

Il suono cupo di una sirena rompe il silenzio. Luci rossastre invadono la scena, come filamenti di una ragnatela: sul lato sinistro si intravedono sacchi di immondizia e bottiglie.

Si illumina solo il lato destro del palco.

Arianna cammina nervosa, si rosicchia le unghie, gli occhi vitrei nel vuoto.

Arianna:

Lo vuole capire che non lo amo? Ho il diritto di non amarlo?

Passeggia nervosa sulla scena.

Arianna:

Mi sono sbagliata, va bene? Era così diverso. Io lo amavo, sì. Lo amavo!

Si ferma, gli occhi fissi in avanti, le dita ancora in bocca.

Arianna:

Lo amavo?

Irrompe una voce maschile da fuori campo:

Voce maschile:

Amore, sono tornato. Dove sei?

Arianna, terrorizzata, finge un sorriso. Gira in tondo, è nervosa.

Arianna: (con tono dolce)

Vengo subito…

Ha gli occhi sconvolti rivolti in avanti, le dita nuovamente in bocca.

Arianna:

Perché non lo capisce? Non è colpa mia!

A un tratto il trillo di un telefonino, Arianna si volta sconvolta. Poi ancora un trillo, un altro, un altro ancora; Arianna si guarda attorno agitata, spaventata.

Cade a terra, le mani fra i capelli.

La si sente piangere. Si rannicchia a terra in posizione fetale. Le luci si abbassano, resta solo il pianto di Arianna.

Scena 2

Parte la musica di un carillon. Le luci si riaccendono lentamente, sono gialle. Arianna è seduta a terra, le gambe incrociate, il sorriso sul viso, stringe una bambola al petto.

La musica sfuma lentamente.

Arianna:

Io sono Arianna, ho tre anni, così! (fa il gesto con le dita).

Papà dice che sono una principessa. La mamma mi chiama signorina. Mia sorella più grande, Divina, dice che sono l’amore suo.

Pausa brevissima.

Arianna:

Papà cura la gente, tutti gli vogliono bene, la mamma dice che è l’uomo più importante del paese.

Amo tanto il mio papà, e lui ama me. Ogni domenica mi porta a fare la passeggiata nei boschi, dice che sono bravissima, che diventerò un’esploratrice.

Papà dice che sono forte come lui. Dice anche che sono intelligente come lui.

Io voglio essere come il mio papà, non come mamma: lei sta sempre a cucinare e a pulire casa, sta sempre zitta, mentre papà legge tanto, sa tutto, sa anche andare in bicicletta, fa la maratona in paese, alle feste canta: tutti vogliono bene al mio papà. Io lo amo, e lui dice che sono la sua bambolina. Anche mia sorella dice che sono la sua bambolina.

Improvvisamente Arianna si incupisce, il volto chino sulla bambola.

Arianna:

Anche lui diceva che ero la sua bambolina.

Le luci si spengono sul lato destro e si accendono solamente sul lato sinistro del palco: filamenti di luci rosse. A terra sono sparse bottiglie, giocattoli rotti, e fra un cumulo di rifiuti è rannicchiato un uomo in una tunica bianca e lercia, avvolto da una catena.

L’uomo trema e ha gli occhi fissi nel vuoto, intimorito scivola via dai rifiuti.

Un urlo di donna irrompe nella scena. L’uomo, sofferente, si tappa le orecchie e grida senza voce.

Ansante, ancora a terra, si trascina verso bordo palco.

Icaro:

Non ce la faccio più! Basta, vi supplico.

Si porta le mani al viso e si rigira a terra. Piange.

Irrompe la risata di Arianna.

Icaro si alza in piedi, si dimena per fuggire, ma la catena gli impedisce i movimenti.

Icaro:

Puttana! Puttana!

Quando mi lascerai in pace, schifosa troia? È tutta colpa tua!

Si accascia sul pavimento, la faccia a terra, le dita che raschiano il palco.

Icaro:

Devi morire. Devi morire…

Poi a un tratto tace, tutto è silenzio. Geme, ancora al suolo, le dita che fendono il buio, la sua voce ridotta solo a una supplica.

Icaro:

Scusa, scusa, io non volevo! Non volevo…

Si rannicchia a terra. Le luci si spengono. Si sente solo il suo pianto.

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