Giunto sul mio pianerottolo vidi la piccola Tiziana guizzare subito nel mio appartamento. Prima di svanire mi fissò di sottecchi, mi parve di vederla sorridere con aria di sfida.
Mi voltai e osservai le piante della signora Torelli: erano intatte, fortunatamente. Avevo temuto che quelle bestie le avessero distrutte, che i nazisti di Josy le avessero incendiate, privandomi della mia vendetta. Invece erano lì, sane e salve. Ma un istante dopo notai con mio sommo stupore che erano fradice.
Dannata, me l’aveva fatta! Ma stavolta me l’avrebbe pagata. Oh sì! L’avrei rispedita a casa sua a calci.
Entrai furioso in casa, pronto a mettere in atto il mio piano, seguito da Bambi e Akim che trascinavano il corpo stecchito di Madame Bovary, ma appena messo piede in cucina Vera mi si fiondò addosso come una furia.
Dio, preoccupato com’ero per le piante della signora Torelli l’avevo completamente dimenticata. Come al minimo nel vedermi pesto e stracciato, seguito da Bambi e Akim nudi che tenevano il corpo svestito di Madame, avrebbe pensato che fossimo andati a far baldoria fino a uccidere a colpi di pene una mignotta.
Mi spinse al muro e mi colpì al viso con una sberla.
«Si può sapere chi cazzo è la troia che ti chiama qui a casa?».
La guardai confuso, perplesso, non sapevo che dirle, quella situazione mi giungeva del tutto nuova.
Cercai una via di fuga. Dalla finestra penetravano i bagliori delle fiamme, ogni tanto un grido proveniva dalla strada, ma Vera sembrava non curarsene.
«Allora, ti decidi a rispondere?».
Osservai Madame ai piedi di Bambi e Akim, frastornati quanto me.
No, non poteva essere Lei! No.
Tiziana, seduta sul divano, gli occhi enormi e sadici su di me sorrideva mentre accarezzava il gatto.
Che si trattasse di una sua mossa per avere tutte per sé le piante della signora Torelli? Magari era stata lei a chiamare la Morte e dirle di telefonarmi.
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