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Progetto editoriale: La finestra chiusa

Ormai mio padre non ci riconosceva quasi più, nemmeno si alzava dal letto. I medici ci avevano consigliato di continuare a dargli la morfina: non c’era altro da fare, solo attendere.

Mia madre, mutata in una vecchia consunta, vegliava su di lui notte e giorno. China sul letto, a volte gli carezzava il viso come fosse un bambino: quel volto ridotto a ossa che sembravano stracciargli la pelle ingiallita, gli occhi affossati in due grotte buie, la mano ossuta che fendeva l’aria in cerca di qualcosa che solo lui vedeva.

«Ono’, che c’è, sto qua?»

Non avevo mai udito mia madre chiamarlo per nome, non l’avevo mai vista accarezzarlo, ma forse quel mucchio di ossa, di pelle macera che puzzava di sudore dolciastro e di decomposizione, quel cumulo di carne arenata in un letto, quegli occhi spalancati e gonfi di terrore, non erano mio padre: mio padre era già morto, di lui restava solo l’essere umano che non era mai riuscito a essere: un bambino che chiedeva affetto, piangeva, e ora non più da ubriaco.

Più volte io e Anna provammo a portare via mia madre da quel letto a cui sembrava essersi aggrappata, come Onofrio continuava ad avvinghiarsi ostinatamente agli ultimi barlumi di una vita mai vissuta, ma lei non si convinse mai, restava lì ferma al capezzale di quel marito che forse un tempo aveva davvero amato, senza che io ne capissi il motivo.

Si poteva amare Onofrio? Quel composto di urla, brutalità e parolacce; quelle carni sporche, quei denti marci, potevano meritare amore?

A volte sgranava gli occhi verso il soffitto, tendeva la mano in alto come se stesse finalmente toccando qualcosa sospeso in aria, sul suo viso imperlato di sudore appariva appena un sorriso.

«Mamma…»

Poi il suo braccio crollava nel vuoto, reciso.

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L’importanza di fare memoria: quando la letteratura risveglia la coscienza

A seguito della pandemia che da tre settimane ha messo in quarantena l’intera nazione italiana, tanti si chiedono cosa succederà dopo, ovvero quando si tornerà a una quotidianità per modo di dire normale, quando riapriranno le attività, quando si tornerà a scendere in strada liberamente e a gestire il proprio tempo come si faceva fino a meno di un mese fa.

Ovviamente, come ormai succede per ogni cosa, dal più minuscolo evento a quello più eclatante, i social network sono la vetrina dove ogni emozione, ogni pensiero e soprattutto ogni livore viene esposto pubblicamente. Da una parte alcuni pensano che usciremo tutti cambiati da questa situazioni, più maturi, arricchiti di nuove consapevolezze; altri, invece, del tutto disfattisti proclamano che, come sempre, l’umanità non imparerà nulla da ciò che sta accadendo.

Una cosa è certa: la gente parla velocemente e tende a esporre il proprio pensiero individuale come una certezza oggettiva.

Personalmente non so cosa succederà dopo la quarantena da COVID-2, ma so quello che spero, ossia che le persone imparino dai propri errori.

Come abbiamo appena detto, i pessimisti e quelli che spesso godono nell’innalzarsi – virtualmente – come guru disfattisti dicono che ancora una volta l’essere umano non imparerà niente da questa vicenda. Visti i precedenti gli si potrebbe dare ragione, se non attribuissero questo loro pensiero a tutto il genere umano, ponendosi al di sopra di tutti come unici untori di una verità assoluta da cui, però, prontamente si dissociano.

La verità, io credo, è che molte persone riescano a imparare da situazioni difficili, e altrettante persone non ci riescono, mentre altre addirittura si incattiviscono. Forse il problema sta nella gestione della memoria e del valore che le si attribuisce.

Credo che la più fedele testimonianza di come conservare e celebrare la memoria la si possa trovare nel popolo ebraico. Il Giorno della Memoria, infatti, commemorato il 27 gennaio, non ricorda solo la liberazione da parte dei soldati sovietici dell’Armata Rossa dei sopravvissuti allo sterminio avvenuto ad Auschwitz, ma quanto successo agli ebrei prima della liberazione: la Shoah, termine ebraico che tra origini dalla Bibbia (Isaia 47, 11) e che significa “Tempesta devastante”. Continua a leggere L’importanza di fare memoria: quando la letteratura risveglia la coscienza

Progetto editoriale: In cerca della Morte

XVI  

Camminavamo su petali di rosa, attorno a noi arcate dorate da cui ondeggiavano nell’aria profumata di gelsomino drappi di velluto. I Righeira, imbalsamati, suonavano e cantavano sorridenti in una teca di cristallo. Ovunque decine di Akim, completamente nudi, si lavavano la schiena a vicenda.

«Si plepalano pel glande lito…» sussurrò il temerario Akim, facendoci strada fra pile di suoi cloni, mentre su di noi piovevano petali profumati.

Io e l’ingenuo Bambi, sbigottiti, ci fermammo sull’uscio di un’altra sala, mentre Jesus sembrava solo trattenere una scorreggia.

Carne! Ovunque carne. Una matassa di carne palpitante, ansante, ululante. Non si vedevano che gambe, braccia e teste intrecciarsi in un groviglio carnoso, molliccio, sudaticcio, fremente. Il pavimento colmo di cuscini ne era invaso: impossibile camminare senza sprofondarci, senza essere risucchiati da quei corpicini nudi che si avvinghiavano fra loro, afferrandosi, scavalcandosi, penetrandosi, leccandosi: un gomitolo di carne e di secrezioni che non avremmo mai potuto sciogliere.

Mi vennero le vertigini, mi sentivo male. Temevo di perdere l’equilibrio e di cadere in quel turbinio ansante, di venirne ingerito.

Bambi invece adesso sembrava più tranquillo, addirittura empatico con lo scenario che gli si parava davanti. Mi parve anche di vederlo tastarsi il pistolino.

«Lolo stale plegando. Voi fale piano…» sussurrò l’audace Akim, facendoci ancora cenno di seguirlo.

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antonio franchini: redattore di ferro, scrittore sensibile

In un precedente articolo ho già parlato di Antonio Franchini e del suo meraviglioso libro Quando scriviamo da giovani. Redattore storico della narrativa italiana Mondadori, dal 1991 al 2015 ha portato la casa editrice milanese a innumerevoli successi, fra cui la scoperta di casi letterari quali Giordano e Saviano. Lasciata Mondadori ora si occupa della narrativa italiana e della saggista per Giunti.

Oltre che il più grande redattore italiano contemporaneo, Franchini, come già scritto nel precedente articolo a lui dedicato, è uno scrittore eccelso, a mio dire paragonabile a quei rari casi di scrittori al di fuori dell’ordinario come Giuseppe Montesano o Arnaldo Colasanti: prodigi unici in ambito letterario, almeno qui in Italia.

Un vero peccato che Franchini, come i due illustri nomi a lui accostati, a causa dei suoi numerosi impegni editoriali possa scrivere poca narrativa.

Vincitore del Premio Bergamo nel 1997, del Premio Fiesole Narrativa Under 40 e del Premio Mondello Autore italiano nel 2003, la sua scrittura risulta precisa, alta e raffinata seppur concreta ed evocativa, al punto da rendere appassionante quanto un Classico della letteratura anche un testo che potrebbe essere definito un reportage narrativo come I gladiatori, bellissimo libro pubblicato nel 2005 da Mondadori nella collana P.B.O. Continua a leggere antonio franchini: redattore di ferro, scrittore sensibile