XVIII
Poco dopo, andato via il nonno e le zie, finalmente fui libero da quella recita. Come ogni vigilia c’era la partita a carte a casa di Ugo, puntualmente trasformata in una nottata a guardare film porno, visto che sua madre e le sue sorelle andavano a mangiare fuori e poi a ballare, e suo padre era come se non esistesse.
Seduta sulle scale del proprio piano trovai Lia. Leggeva un libro di Dickens, i capelli le cadevano sul viso in un triste sipario.
«Ehi, auguri…» le dissi, sedendomi al suo fianco. Ma lei neppure scostò lo sguardo dalle pagine.
«Se’, auguri…»
«Ma che hai? Tutto bene?»
Sbuffò e chiuse di colpo il libro.
«Si può sapere perché ogni volta che a Natale uno non sorride gli si fanno mille domande?»
Non risposi, non sapevo che dire. Lei, seccata, si scostò una ciocca di capelli dal viso e tornò subito al romanzo.
«Che poi vorrei sapere cosa c’è di tanto speciale a Natale…»
Per un attimo pensai a Maria Mangiacapra e a Rosa Marra che la prendeva in giro perché non festeggiava il Natale. Osservai la porta dell’appartamento di Lia, cercai di udire qualche rumore, della musica, una risata, una misera parvenza di vita, ma si udiva solo il fracasso del televisore acceso, come da me.
«Non lo festeggiate il Natale a casa tua?»
Lia sbuffò nuovamente e voltò ferina una pagina.
«Se essere costretti a stare a tavola fino a mezzanotte, muti, significa festeggiare, allora lo festeggiamo. Contento?»
«Hai ragione, anche a me non piace…» dissi alzandomi e colpendo col piede la ringhiera in modo goffo e a sguardo basso. «Quest’anno ho anche fatto cadere mia sorella nel presepio.»
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