Una delle più grandi difficoltà in narrativa è scrivere storie che trattino il tema della disabilità fisica e/o mentale.
Potrebbe sembrare una cosa sciocca, siccome oggigiorno molti scrivono di questo tema, ma nel più dei casi i risultati ottenuti confermano ciò che ho appena scritto.
Quando si scrive una storia in cui sono presente personaggi disabili, o in cui addirittura la disabilità è il tema portante della storia, si rischia sempre di cadere in due tranelli: il pietismo, oppure l’autocelebrazione.
Di norma nel primo tranello ci cade chi non ha mai fatto esperienza diretta (non intendo per forza sulla propria pelle) di ciò che vive una persona disabile. L’autore tende a voler raccontare a tutti i costi un dramma e, non conoscendolo, cade in un melodramma che può risultare asfissiante e addirittura patetico, come nel caso di molti show televisivi che fingono di trattare il tema della disabilità.
Nel secondo tranello, invece, è solito caderci chi ha vissuto o vive da vicino il problema della disabilità. Troppo coinvolti emotivamente, questi scrittori non riescono a distaccarsi dall’autobiografia, esaltando talvolta il dolore, altre volte un sentimentalismo che risulta fasullo, esagerato quanto il dolore dichiarato di una situazione sì infelice, sì forte, ma che è vissuta comunque in un contesto quotidiano.
In ambedue i casi si tende a esagerare, a ingigantire ogni aspetto che ruota attorno alla disabilità di un individuo, e questo crea storie fasulle, stucchevoli, piatte, talvolta persino denigranti per chi vive sul proprio corpo, o da molto vicino, il problema della disabilità. Continua a leggere Scrivere per immortalare qualcosa di importante